#FocusGermania. I 5 ATTORI SIMBOLO DEL CINEMA TEDESCO? SCOPRIAMOLI INSIEME

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Li abbiamo visti nelle migliori pellicole degli ultimi anni
a dominare il panorama internazionale cinematografico.
Ma chi sono in realtà?
Un focus per conoscere meglio
i 5 attori simbolo del cinema tedesco contemporaneo. 

a cura di Marco Villa

 

1. Cristoph Waltz – Lontano dal centro della scena

L’attore cerca sempre il centro del palcoscenico. Per natura, perché è lì che vuole stare ed è da lì che vuole farsi applaudire e ammirare. Questione di ego, ma anche di DNA. Vale per tutti, per i più estrosi e per i più introversi. Quello che non è da tutti, invece, è il talento di riuscire a imporsi anche da posizioni più defilate, interpretando personaggi che non sono il cuore di una vicenda, ma senza i quali un film non starebbe in piedi. Riuscire ad affermarsi in ruoli di sostegno non è facile, ma garantisce lo status di attori di culto e se si pensa a questa categoria dal 2000 a oggi, il primo nome che viene in mente è quello di Cristoph Waltz. Due Oscar come miglior attore non protagonista per Bastardi senza gloria e Django Unchained, entrambi diretti da Quentin Tarantino, Waltz ha raggiunto il successo mondiale dopo aver superato i 50 anni e dopo una lunga carriera tra cinema, televisione e teatro che l’hanno reso uno degli attori tedeschi più amati in patria e dagli appassionati di cinema. Poi è arrivato Quentin Tarantino e di colpo è diventato uno dei più amati in assoluto.

2. Michael FassbenderDai supereroi ai grandi visionari

Provate a fare un gioco: se scorrete la filmografia di un attore e trovate un elenco incredibile di blockbuster, sarete di fronte a un attore in grado di far uscire di casa centinaia di migliaia di persone in tutto il mondo. Se invece in quella stessa filmografia trovate un elenco incredibile di registi, state pur certi che siete di fronte a un mostro di bravura. Scorrendo la carriera di Michael Fassbender si passa da David Cronenberg a Quentin Tarantino, da Francois Ozon a Steven Soderbergh, senza dimenticare Ridley Scott e Bryan Singer. Registi molto diversi tra loro, ma tutti in grado di dirigere al meglio uno degli attori più talentuosi della sua generazione. Nato in Germania, ma da sempre nel giro di Hollywood, Michael Fassbender passa da ruoli d’azione a ritratti intensi come quello del sessuomane Brandon Sullivan in Shame, diretto da Steve McQueen, il regista che più di tutti ne ha esaltato il talento. Senza dimenticare i biopic, film che nell’arco di pochi anni gli hanno fatto interpretare ruoli di peso come quello di Carl Jung (A Dangerous Method) e di Steve Jobs nel film omonimo di Danny Boyle.

3. Daniel BruhlIl volto della Ostalgie

“Non so perché faccio l’attore: ha qualcosa a che fare con l’attirare l’attenzione e con il mentire. Da bambino la mia specialità era fingermi morto: ho capito di essere bravo perché mia mamma urlava ogni volta che lo facevo”. Dalle urla della mamma agli applausi della critica il passo non è stato lungo, visto che già a 25 anni Daniel Brühl era nella lista degli attori tedeschi (ed europei) più interessanti. Il merito era tutto di un film che avrebbe a suo modo segnato un’epoca, diventando manifesto stesso di un sentimento e di una tendenza chiamata Ostalgie. Il termine è una sorta di crasi tra Est e Nostalgia e indica quel rimpianto verso il tempo passato che toccava alcuni tedeschi cresciuti nella ex DDR. Il film in questione, l’avrete capito, è Goodby, Lenin!, in cui Brühl interpreta un figlio che mette in scena per la madre malata un presente alternativo, in cui il Muro di Berlino non è mai caduto e in cui sopravvivono oggetti ed estetica di quel mondo. Il volto di Daniel Brühl diventa così quello di un nuovo cinema tedesco, che cerca una strada più leggera rispetto alla propria storia: “Noi tedeschi siamo bravi a costruire macchine e abbiamo tante qualità – racconta Brühl – ma non siamo proprio i più divertenti del mondo”.

4. Ulrich MuheSfumature di grigio

Pacatezza e perseveranza. Due atteggiamenti che sono ben chiari nella testa di tutti, ma che sono particolarmente difficili da portare su uno schermo. Molto più semplice dedicarsi a slanci fisici o di temperamento, perché lavorare di sottrazione è quanto di più complicato esista. In pochi ci riescono, in pochissimo sanno costruire un’intera carriera su personaggi che non escono mai dal proprio binario. Ulrich Muhe ci è riuscito, affrontando in poco meno di trent’anni di carriera ruoli del tutto diversi tra loro. Ne bastino due, per riassumere il suo talento: il padre di famiglia condannato al martirio nel terribile Funny Games di Michael Haneke e soprattutto la parte che, l’anno prima di morire, lo avrebbe portato al successo internazionale, ovvero Le Vite degli Altri, premio Oscar come miglior film straniero nel 2006. Due personaggi che potrebbero essere definiti come grigi, tipologie di persone che non si fanno notare. In altre parole, ruoli che sono estremamente difficili da interpretare.

5. Sebastian Koch

Dalla televisione al cinema. E ritorno. Quella di Sebastian Koch è una carriera che inizia sugli schermi di casa delle famiglie tedesche, con un’infilata di quelli che, a cavallo tra anni ’80 e ’90, erano telefilm e non ancora serie tv, almeno nell’accezione con cui le intendiamo adesso. Tanta televisione, soprattutto in prodotti crime, e poi l’anno della svolta, che arriva quando i 40 anni sono passati già da un po’. È il 2006 e nell’arco di pochi mesi arrivano in sala due film in cui Koch interpreta ruoli agli antipodi: il primo è quello di Georg Dreyman, autore teatrale messo sotto sorveglianza nella Berlino Est de Le vite degli altri di Florian Henckel von Donnesmark; il secondo è quello di Ludwig Muntze, ufficiale delle SS nel kolossal Black Book di Paul Verhoeven. Due ruoli che di colpo lo proiettano in prima fila non solo nel panorama del cinema tedesco, ma di quello mondiale, diventando uno dei volti europei più richiesti e riconosciuti. Negli anni che seguono i titoli più importanti sono Il Ponte delle Spie di Steven Spielberg e The Danish Girl di Tom Hooper, senza dimenticare un ruolo fondamentale nella quinta stagione della serie tv Homeland, interamente ambientata in Germania. Un ritorno alle origini, per Koch.